4 possibili fattori di rischio del long covid

Dall’alta carica virale alla presenza di auto-anticorpi diretti contro il nostro stesso organismo, dal virus della mononucleosi al diabete di tipo 2. I 4 fattori di rischio in uno studio su 309 pazienti.

A soffrire di almeno un sintomo di long Covid sarebbero in molti, forse più di un terzo dei pazienti. E anche chi ha avuto la malattia in forma lieve potrebbe avere strascichi protratti nel tempo. Ma come sapere in anticipo se si è più o meno esposti a questo problema? Un gruppo dell’Institute for Systems Biology, istituto di ricerca senza scopo di lucro con sede a Seattle, fornisce una prima risposta. Gli autori hanno individuato 4 possibili fattori di rischio di avere sintomi a lungo termine (si dice anche essere long haulers). Conoscere questi 4 elementi può essere importante per valutare, tramite opportune sperimentazioni cliniche, trattamenti tempestivi nelle persone contagiate, non solo per evitare sintomi gravi ma anche per prevenire il long Covid. I risultati, ancora iniziali e da approfondire, sono pubblicati sulla rivista Cell. Ecco quali sono i 4 fattori.

Un’analisi completa

Diversi gruppi di ricerca stanno creando algoritmi e conducendo trial clinici per stimare con maggiore precisione quali pazienti contagiati da Covid-19 sono più esposti a forme gravi della malattia. Oggi gli scienziati hanno pensato di esaminare anche il rischio di Long Covid. Per farlo hanno coinvolto 309 pazienti colpiti dal coronavirus, analizzando campioni di sangue in diversi momenti dell’infezione e anche successivamente. I dati estrapolati sono stati messi in relazione con lo stato di salute dei partecipanti, con i sintomi e la loro durata, nonché con la carica virale associata a Sars-Cov-2.

I 4 fattori di rischio

Gli autori parlano di “conseguenze post-acute di Covid” (in sigla Pasc) riferendosi a long Covid e individuano alcuni fattori di rischio per Pasc. I principali 4 sono: la presenza di auto-anticorpi nel sangue, il diabete di tipo 2 preesistente, un’alta carica virale e la presenza del virus Epstein-Barr (responsabile della mononucleosi), riattivato con l’infezione da coronavirus.

Un aspetto importante, secondo gli autori, è il rilievo della carica virale. “Abbiamo osservato – sottolinea Yapeng Su, autore del lavoro – che la sua misurazione precoce [dunque il suo valore ndr], nel sangue, è fortemente associata a determinati sintomi di Long Covid che i pazienti sviluppano mesi dopo”.

Un alto livello di auto-anticorpi, poi, sembra associato a un maggior rischio di long Covid. Si tratta particolari anticorpi diretti contro l’organismo stesso, come quelli presenti nelle malattie autoimmuni, quali il lupus. All’aumentare di questi componenti, spiegano gli scienziati, diminuisce l’effetto protettivo di quelli specifici contro Sars-Cov-2, e questo meccanismo potrebbe giocare una parte. Infine, un altro fattore di rischio risulta essere il diabete di tipo 2, collegato maggiormente anche a Covid-19 grave. Tuttavia, viste le numerose condizioni spesso concomitanti con il diabete (ad esempio ipertensione), gli autori specificano che non si può concludere che sia proprio questa singola patologia a esporre a un rischio maggiore.

Non abbiamo ancora capito cosa sia esattamente il long Covid

Gli strascichi dell’infezione da Covid-19 costituiscono una sindrome complessa, caratterizzata da una moltitudine di sintomi diversi. E per capire come fronteggiarla bisogna conoscerla e caratterizzarla nei dettagli

Long CovidOvvero: un insieme di sintomi persistenti e disabilitanti di cui soffrono alcuni pazienti sopravvissuti a Covid-19. Tra questi, per esempio, faticaconfusionearitmie cardiachedisturbi intestinali, e molti altri, che possono durare mesi dopo l’inizio dell’infezione, o comparire mesi dopo la sua fine. Se la definizione vi sembra nebulosa o troppo generica, non vi sbagliate. Ed è proprio questa al momento, una delle questioni più urgenti sul tavolo della comunità degli scienziati che si occupano di Covid-19: per trovare terapie e contromisure agli strascichi della malattia è assolutamente indispensabile conoscere e definire precisamente tutte le sue caratteristiche. 

Un compito tutt’altro che facile, come vedremo tra poco. Ci stiamo provando con molta convinzione: lo scorso dicembre, il Congresso statunitense ha approvato un finanziamento di 1,15 miliardi di dollari per sostenere un programma quadriennale di ricerca sul tema, e a febbraio i National Institutes of Health hanno dichiarato che si sarebbero serviti di parte di questo finanziamento per condurre diversi studi di grandi dimensioni su adulti e bambini che soffrono di long Covid.

Il nuovo studio

C’è una novità interessante, comunque. Su Jama Internal Medicine è stato infatti appena pubblicato uno studio condotto da diverse università e centri medici in Francia e in Italia, le cui conclusioni sono in qualche modo inaspettate, e da valutare con attenzione. Gli autori dello studio hanno intervistato 26.283 pazienti, chiedendo loro se avessero sofferto di Covid-19 e/o se avessero sofferto di qualche sintomo diverso dal solito (in particolare quelli notoriamente associati al long Covid) nei mesi precedenti all’intervista. Poi ne hanno analizzato campioni del sangue, cercando anticorpi che confermassero o meno l’infezione da Sars-CoV-2. 

Incrociando i dati, hanno osservato l’elemento che permette di prevedere con più attendibilità se un paziente svilupperà i sintomi del long Covid non è il fatto di essere stati effettivamente contagiati o meno da Covid-19, ma il credere o meno di esserlo stato. Una differenza neanche troppo sottile.“Le prossime ricerche sul long Covid dovrebbero considerare i meccanismi sottostanti alla sindrome, che potrebbero non essere specifici del virus – hanno scritto gli autori -. Potrebbe essere necessaria una valutazione medica dei pazienti per prevenire sintomi attribuiti al long Covid ma che in realtà potrebbero essere dovuti a un’altra malattia”.

La questione, che merita di essere indagata con attenzione, è probabilmente legata a quello che dicevamo in apertura. Dal momento che i sintomi del long Covid sono così tanti, e così diversi tra loro, è molto difficile sia per i pazienti sia per i medici capire se effettivamente sono dovuti a un’infezione pregressa o a un motivo che non ha niente a che fare con Covid-19.Gli altri studi

Ci sono troppe cose che ancora non sappiamo: per esempio, banalmente, quante persone ne soffrono, come ha ricordato Wired Uk. Secondo una stima basata su un’indagine condotta dal King’s College di Londra, nel Regno Unito, il 2,3% dei pazienti soffrirebbe i sintomi del long Covid (che a loro volta, tra l’altro, non sono definiti in modo rigoroso) per un periodo di tempo superiore a 12 settimane dopo l’infezione. Un altro studio, condotto su una corte di pazienti cinesi ospedalizzati dopo l’infezione da Covid-19, ha mostrato che il 26% di loro aveva difficoltà a dormire sei mesi dopo l’infezione, e il 63% di loro soffriva di debolezza muscolare nello stesso intervallo temporale. 

Altri studi, condotti negli Stati Uniti, hanno mostrato che più di un terzo dei pazienti Covid-19 “non torna allo stato di salute precedente all’infezione” in un periodo di tempo che va da tre settimane a sei mesi dopo il contatto con il virus. E ancora: una meta-analisi che ha messo insieme i risultati di 57 studi diversi, completata nell’ottobre scorso, ha svelato che la metà delle persone con sintomi tipici di Covid-19 aveva problemi di salute fino a sei mesi dopo l’infezione originaria.

Una questione complessa

Perché i risultati sembrano essere così diversi? Il problema è quello da cui siamo partiti: la definizione di long Covid, al momento, è ancora piuttosto nebulosa, e non ne esiste una versione univoca e condivisa da tutta la comunità scientifica. Uno studio pubblicato a dicembre 2020 da parte di ricercatori britannici e statunitensi insieme a un’associazione di pazienti, per esempio, ha associato al long Covid una lista di oltre 200 sintomi relativi a praticamente tutti gli organi del corpo.

È evidente che con una definizione così generica e omnicomprensiva è difficile capire se uno specifico sintomo sia realmente conseguenza dell’infezione da Sars-CoV-2 o imputabile a qualche altro disturbo. A complicare ulteriormente le cose, poi, c’è il fatto che alcuni pazienti non sviluppano alcun sintomo durante l’infezione o subito dopo essere guariti, ma dopo alcune settimane o mesi di benessere cominciano a soffrirne. È ancora opportuno, in questi casi, parlare di long Covid? Oppure siamo in presenza di un altro disturbo, per cui sarebbe richiesta una diagnosi differenziale ben definita?

E ancora: il Covid non è certamente l’unica infezione che può provocare sintomi che durano a lungo nel tempo. Wired Us ricorda, per esempio, la polmonite: i pazienti che ne soffrono lamentano a volte di soffrire di fatica cronica e respiro corto anche mesi dopo l’infezione. O l’influenza, che può danneggiare i muscoli cardiaci. O, ancora, le malattie dovute a intolleranze o allergie alimentari, che possono provocare uno stato di infiammazione correlato allo sviluppo di ipertensione e problemi renali anche anni dopo. 

In una lunga inchiesta sulla questioneValigia Blu ha evidenziato anche un altro problema: per rilevare i danni a lungo termine di Covid-19, specialmente quelli a livello di microcircolazione (che si sospettano essere i responsabili di molti dei sintomi del long Covid), servono esami specialistici, costosi e non accessibili a tutti, dal momento che “i danni al cuore si riescono a vedere con la risonanza magnetica, mentre l’elettrocardiogramma non rivela nulla, e i danni a polmone e cervello si vedono con esami specialistici di medicina nucleare”. È evidente che, in uno scenario così complesso, è molto complicato distinguere quel che è long Covid e quel che non lo è. Eppure uno sforzo sistematico bisogna farlo, se si vuole inseguire l’obiettivo di mitigare gli effetti della malattia sia nel breve che nel medio e lungo termine.

Articoli informativi tratti da Wired.it <3

Pubblicato da *LorySmile*

Semplice, ingegnosa e ironica. "Le apparenze ingannano." Karma. Resilienza. Vivi e lascia vivere. Chi vince delle volte perde, chi pere delle volte vince.

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